Il Karate è un’arte marziale giapponese codificata agli inizi del XX secolo, le cui origini risalgono alle tecniche di combattimento cinesi (Quan-Fa) e a quelle sviluppate nell’isola di Okinawa (Okinawa-Te). Questa disciplina si basa sull’efficacia degli attacchi attraverso colpi d’impatto (Atemi) mirati ai punti vitali del corpo (Kyusho). Nel Karate, così come nel Budō (武道), i colpi vengono sferrati con le armi naturali del corpo: mani, pugni, gomiti, ginocchia e piedi, integrando tecniche di immobilizzazione e proiezione.
Nato come metodo di difesa a mani nude, il Karate ha dovuto adattarsi alla realtà in cui gli avversari potevano essere armati con armi bianche o strumenti agricoli trasformati in strumenti di combattimento, come il Bō (bastone lungo), il Nunchaku (due bastoni uniti da una corda o catena) e il Tonfa (bastone corto con un’impugnatura perpendicolare). Questi oggetti sono diventati complementari al combattimento a mani nude, conferendo al Karate un’efficacia simile ad altri metodi marziali sviluppatisi in Oriente nello stesso periodo.
Origine del termine “Karate”
Il termine “Karate” iniziò a essere utilizzato intorno agli anni ’30 del XX secolo, grazie all’opera di Gichin Funakoshi. Con questa denominazione, il Karate uscì dalla sua dimensione segreta e riservata, diventando una disciplina accessibile a tutti. Funakoshi scelse di definirlo “Mano Vuota” (Kara-Te), non solo nel senso letterale di “mano disarmata”, ma anche nel suo significato filosofico, legato allo stato d’animo necessario per la pratica di questa disciplina.
Nella lingua giapponese, la corrispondenza tra suoni e ideogrammi non è univoca. L’antico nome del Karate era “To-De” (Mano Cinese), scritto con gli ideogrammi 手 (Te, “mano”) e 唐 (To, “Cina”). Poiché l’ideogramma 唐 (To) può essere pronunciato anche come “Kara”, nel XX secolo si cominciò a scrivere Karate (空手), dove 空 (Kara) significa “Vuoto”. Questo cambiamento portò al doppio significato di “Mano Cinese” e “Mano Vuota”, concetto legato alla filosofia Zen.
L’evoluzione del Karate
Dagli anni ’30 in poi, il significato di “Mano Vuota” si diffuse grazie ai maestri provenienti da Okinawa, che intendevano unire la loro arte marziale alla tradizione del Budō giapponese. Il concetto di “Via” (Dō, 道) si sviluppò durante il periodo di pace dell’era Tokugawa (1603-1868), trasformando le arti marziali da tecniche di combattimento letali a percorsi di perfezionamento personale. Il Karate divenne così un’arte raffinata ed elegante, mirata alla crescita interiore e in armonia con la filosofia Zen. Funakoshi introdusse questa visione aggiungendo il termine Dō (道) alla denominazione, creando il concetto di “Karate-dō” (空手道). Nei “Venti precetti del Karate”, egli descrisse questa disciplina come una forma di Budō, ponendo l’accento non solo sull’efficacia del combattimento, ma anche sulla formazione del corpo e dello spirito.
A partire dagli anni ’50, il Karate si diffuse rapidamente, dapprima in Giappone e poi in tutto il mondo. Da metodo di difesa personale si trasformò in un’arte marziale filosofica, per poi evolversi in uno sport da combattimento moderno e popolare, fino a diventare disciplina olimpica. Tuttavia, questa trasformazione sportiva ha progressivamente allontanato il Karate dal suo originario concetto di Budō, riducendolo, per molti praticanti, a una semplice competizione atletica piuttosto che a un percorso di crescita interiore.